Il collaboratore non é “capace”: lo tieni o lo lasci andare?

Fra le situazioni difficili che un manager deve gestire, ce n’è una che anche per me, come suo executive coach, resta tra le più delicate: quando il nodo non è la performance, ma la persona. I suoi valori, le sue aspirazioni, le sue insicurezze, i suoi silenzi.

Spesso tutto parte da una frase come questa pronunciata dal leader:

"Ho un collaboratore che non é capace. È una brava persona, ma… temo di doverlo licenziare.”

Quando ascolto queste parole, da un lato percepisco la voglia del manager di dare un'altra possibilità, di non arrendersi subito.

Dall’altro, sento tutta la sua fatica nel sostenere qualcuno che non sta lavorando secondo le aspettative del ruolo, e che forse sta rallentando il team, o appesantendo il carico mentale del leader stesso.

E mi metto anche nei panni del collaboratore (che spesso non conosco), e che immagino si alza ogni giorno cercando di farcela, senza riuscirci davvero.

Magari si sente fuori ruolo, ha perso fiducia.

Oppure sta facendo del suo meglio in silenzio, ma nessuno se ne accorge da tempo.

È qui che, anche per me, il lavoro si fa sottile.

Come coach il mio ruolo non é quello di giudicare chi ha torto o ragione, ma quello di aiutare il leader a rispondere con consapevolezza a questa domanda che spesso lo tiene sveglio la notte:

"Cosa faccio con chi non è all’altezza del suo ruolo?"

Ogni manager e collaboratore hanno un realtá distinta, ma in tutti i casi, invito il leader a partire da un punto chiave:

prima di decidere, deve fare chiarezza.

Prima di etichettarlo come “non capace”, deve capire quale di questi quattro scenari sta realmente influenzando la difficoltà del collaboratore.

Eccoli, con azioni concrete per osservare meglio, decidere con lucidità e agire con responsabilità.


1. Il tuo stile di leadership sta frenando il potenziale del collaboratore

Prima di attribuire le responsabilità alla persona del tuo team o al suo ruolo, fermati e fai un bagno di umiltà.

Chiediti: il modo in cui lo stai guidando lo sta aiutando… o bloccando?

Ogni leader ha un suo stile, ma non ogni stile funziona con ogni persona.

A spesso, devi ammetterlo, sei tu il collo di bottiglia involontario del potenziale inespresso.

Cosa puoi fare come leader:

  • Apri uno spazio sincero di confronto.
    Invita il collaboratore a un incontro, fallo sentire sicuro e non sotto accusa. Chiedigli come puoi supportarlo meglio:
    più ascolto? più chiarezza? meno controllo? un feedback diverso?

    Accetta che, a volte, sei anche tu parte del problema. E che proprio per questo, puoi diventare parte attiva della soluzione.

  • Modifica il tuo approccio.
    Alla luce del feedback, valuta dove puoi fare spazio, comunicare meglio, delegare di più, o semplicemente esserci in modo diverso. Se vuoi diventare un buon leader devi imparare a regolare il tuo passo per far emergere il meglio negli altri.


2. Il ruolo attuale non valorizza il suo talento

A volte il problema non è la tua leadership, non è la persona. È il ruolo.

Ad esempio il perimetro di responsabilità, le attività quotidiane, il carico decisionale non sono in sintonia con i suoi punti di forza.

Il rischio? Avere nel team un talento sprecato e frustrato che può influenzare negativamente il resto dei colleghi.

Cosa puoi fare come leader:

  • Apporta micro-aggiustamenti all’interno del ruolo attuale
    Valuta se cambiare alcuni compiti, il livello di autonomia, le interazioni, lo stile operativo. Piccoli cambiamenti nel ruolo ben calibrati possono riaccendere senso, motivazione e impatto.

  • Ricollocarlo in un’area più coerente con i suoi punti di forza
    Parla con l’HR e i peer di altre aree e individua spazi, progetti o funzioni in cui le sue capacità possono esprimersi con maggiore naturalezza. Un talento mal allocato richiede sforzo continuo, ma se é nel posto giusto crea valore per l’azienda.

  • Creare un ruolo su misura, se il potenziale è strategico e il contesto lo consente
    Non è sempre fattibile, ma in alcuni casi ripensare una posizione attorno a una persona ad alto impatto è una mossa lungimirante. Quando il talento è raro, spesso è il ruolo che deve adattarsi, non il contrario.

Non sempre queste azioni sono possibili: dipendono dalla struttura organizzativa, timing, equilibri nel team, decisioni gerarchiche.

Ma come leader, hai il dovere di considerarle e proporle. Possono essere strategiche per l’azienda e vitali per il benessere e la carriera del tuo collaboratore.


3. Il collaboratore ha perso motivazione

A volte la motivazione si è assottigliata, giorno dopo giorno: un tempo era proattivo, puntuale e pieno di energia.
Ora lo vedi spento, scollegato, in ritardo persino nei pensieri e non solo nei task.

Le cause possono essere tante: carichi di lavoro eccessivi, situazioni personali difficili, solitudine, mancanza di riconoscimento.

Cosa puoi fare come leader:

  • Esci dal ruolo di giudice ed entra in quello di guida.
    Fermati e apri uno spazio di ascolto autentico. Puoi iniziare con una domanda: “Cosa ti manca oggi, che prima ti dava energia?

  • Riapri il dialogo sul senso del lavoro.
    Chiedigli quali sono le sue aspettative, che tipo di contributo desidera dare, cosa lo fa sentire utile e vivo.
    Spesso la motivazione crolla quando c’é dissonanza tra chi siamo e cosa ci viene chiesto di fare. Ne ho parlato anche in questo articolo.

  • Riattiva il legame con il suo “perché” professionale.
    Non si tratta solo di “farlo lavorare meglio”, ma spesso di rimettere in circolo il suo significato, non solo gli obiettivi annuali.

  • Coinvolgi un coach, se serve.
    Se senti di non avere il tempo o la neutralità per accompagnarlo in questo processo, chiedi supporto esterno.
    Spesso un percorso breve e mirato è sufficiente per riallineare motivazione, ruolo e impatto.


4. Il collaboratore non è adatto a quel ruolo

Giunti a quest’ultimo scenario hai già esplorato tutte le leve possibili: hai lavorato sul ruolo, sulla motivazione, sul tuo stile di leadership. Hai dato strumenti, tempo, feedback, e la possibilità di riallinearsi.

Ma nonostante le varie azioni, il collaboratore non è adatto al sistema in cui lavora.

Non riesce ad allinearsi con i valori del team, con il ritmo dell’organizzazione, con le aspettative del ruolo.

Cosa fare quando non c’è più margine di evoluzione?

  • Riconosci la mancanza di allineamento.
    Chiediti:

    • Hai già agito sulla tua leadership, sul ruolo e motivazione?

    • Hai dato feedback chiari, supporto concreto, tempi congrui?

    • Hai avuto conversazioni dirette, non solo correzioni laterali?

  • Accetta che trattenere non è leadership.
    Quando tutto è stato provato, continuare a trattenere il collaboratore per evitare di prendere una decisione difficile é uno stillicidio che pesa e ha un costo reale:

    • Sul focus tuo e del team

    • Sull’energia impiegata a gestire, tamponare, proteggere, più che a costruire

    • Sulla tua autorevolezza: perché le persone ti osservano nel modo in cui affronti ciò che non funziona.

  • Comunica l’uscita con chiarezza e rispetto.
    Pochi momenti mettono alla prova un manager quanto il dover licenziare una persona.
    Lo so per esperienza diretta: l’ho dovuto fare io stessa con alcuni collaboratori, e l’ho vissuto accanto a molti manager che ho accompagnato in questi quattro anni di coaching.

    Non é una decisione operativa, ma un passaggio emotivo complesso per te, che ti assumi il peso della scelta, e soprattutto per il tuo collaboratore, che si trova a fare i conti con una transizione lavorativa difficile da accettare.

    Per questo va gestito con chiarezza, rispetto e presenza, senza lasciare ferite aperte: le parole che userai resteranno nella memoria del tuo collaboratore molto più a lungo della lettera di licenziamento.


RIFLESSIONE FINALE

Nessuno ci insegna come comportarci quando qualcuno del nostro team non è all’altezza del ruolo.

Sappiamo motivare, delegare, ottimizzare.

Ma non sempre sappiamo vedere la persona oltre la performance e decidere cosa fare quando, pur impegnandosi, non è nel posto giusto.

In questi casi, il primo passo è sempre lo stesso: serve chiarezza.

Chiarezza sulla persona, sui suoi valori, le sue motivazioni profonde, ciò che la fa sentire utile o invisibile.

Chiarezza su ciò che osservi, sul ruolo che ricopre.

Chiarezza su quello che sei disposto a mettere in discussione nella tua leadership.

Come direbbe Brené Brown:

“Essere chiari è un atto di gentilezza. Non esserlo è una forma di crudeltà.”

E in questi momenti, la mancanza di chiarezza fa male a entrambi: al collaboratore che ti guarda in cerca di direzione e a te leader, che rischi di restare bloccato dove invece servirebbe decidere.

Alla prossima,
Silvia


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